Un articolo de "Il Cittadino"
Il testo che segue riporta fedelmente un articolo del giornale di Monza e della Brianza "Il Cittadino" dell'08/05/2020. Non riportiamo l'autore perchè il nome non compare nell'articolo originale.
Monza: i 450 anni dalla nascita di Bartolomeo Zucchi, il fondatore del liceo
Stavo facendo una ricerca nell’archivio del duomo dove nel fascicolo Zucchi è conservata una Vita di Bartolomeo Zucchi scritta nel 1800 che volevo consultare, probabilmente compilata da un padre del collegio barnabitico del tempo, quando il direttore della cappella musicale del duomo, maestro Giovanni Barzaghi, mi contattò dicendomi che aveva visto una illustrazione in un mio articolo su Bartolomeo Zucchi che lo aveva sorpreso.
L’illustrazione riguardava un ritratto dello Zucchi di bianco e nero che avevo fotografato nella presidenza dell’omonimo liceo quando, circa vent’anni fa, stavo scrivendo la storia del liceo e d’accordo con l’allora preside Enrica Galbiati avevamo deciso di inserire nel testo il ritratto del fondatore, che stava appeso nel locale da tempo immemorabile e di cui nessuno ricordava la provenienza. L’immagine in questione, in bianco e nero, sembrava la stampa a inchiostro di una incisione, e portava la firma di Giosuè Bianchi. Il padre di Mosè – che era buon pittore, ed ha lasciato parecchie pregevoli vedute della Monza dei suoi tempi e alcuni ritratti nella quadreria dell’ospedale San Gerardo – era insegnante di arte al collegio barnabitico ottocentesco, antenato del liceo Zucchi odierno, per cui pensavo che quell’oggetto fosse stato ereditato dall’istituto precedente, come succede spesso nelle scuole.
Il maestro Barzaghi mi mostrò una tavola dipinta ad olio che ritraeva lo stesso identico personaggio. Confrontandolo con l’immagine vista nel mio articolo, si era meravigliato della assoluta somiglianza e felice di avere in mano il probabile ritratto del personaggio, aveva chiesto un parere per la datazione dell’opera a una restauratrice conosciuta durante i lavori sulla cappella Zavattari, la quale gli aveva confermato trattarsi di opera originale. Probabilmente il Bianchi la vide nel collegio barnabitico – in cui i dipinti, specialmente i ritratti, a olio erano molto usati per illustrare il merito di insegnanti e convittori – e ne fece la copia.
Se veramente fosse così, avremmo trovato la vera immagine del dotto secentesco monzese.
Le origini del liceo classico Zucchi risalgono al 1630, quando con un lascito testamentario l’abate Bartolomeo Zucchi destinava le sue proprietà alla Compagnia di Gesù per aprire una scuola di Grammatica, Umanità e Retorica per i giovani meritevoli e bisognosi della sua città. Nel 1729 i Gesuiti di Brera aprirono infatti il Collegio di Santa Maria degli Angeli, presso l’omonima chiesa fondata dallo Zucchi nel 1608 nella sua proprietà, acquisendo anche la casa Visconti (1724), l’abbazia di San Gottardo (1742) e costruendo una nuova ala (1737).
Bartolomeo Zucchi era nato nel 1570 – secondo alcune fonti il primo maggio, 450 anni fa ,in ogni caso – da nobile famiglia di medici e senatori proveniente da Milano. Era figlio di Gaspare Zucchi e di Anna Cernuschi, imparentata con il cardinale di Toledo, Gaspar Quiroga y Vela, nunzio papale e mecenate, protettore del pittore el Greco. Morì di peste nell’agosto del 1630, lasciando in eredità le sue case e una cospicua somma ai Gesuiti di Brera perché aprissero proprio la scuola “di grammatica, umanità e retorica” per giovani poveri e meritevoli di Monza.
Quando la Compagnia venne soppressa da papa Clemente XIV nel 1773, Maria Teresa d’Austria scorporò il lascito Zucchi dai beni gesuitici per evitare la chiusura del Collegio e lasciò loro la conduzione didattica, che si protrasse, parallelamente a varie peripezie giuridiche e cambiamenti di amministrazione, fino al 1833. I Barnabiti, che subentrarono ai Gesuiti, costruirono verso il 1840 un’altra ala dell’edificio. Oggi l’area è occupata dalla clinica Zucchi. Il Collegio di Monza era uno dei più prestigiosi e grandi della Lombardia. Vi studiavano convittori provenienti dalle famiglie più importanti del nord Italia (Milano, Bergamo, Brescia, Pavia, Piacenza, Novara, Vicenza, Genova, Bologna) e dell’area mitteleuropea (Vienna, Salisburgo, Praga). Il numero dei convittori variò nel tempo da un minimo di 140 (nel 1730) a un massimo di 290 (nel 1847). I programmi seguivano la ratio studiorum, promulgata nel 1599, dei Gesuiti, che recuperava l’impianto culturale della tradizione classica ed umanistica rinascimentale inquadrata nel contesto della Riforma cattolica del concilio di Trento.
I programmi erano diversamente strutturati rispetto ai nostri: le materie erano grammatica, umanistica e retorica – riguardanti le lingue italiana, latina e greca –, filosofia – che comprendeva anche la matematica, la geometria, la fisica e la biologia – e teologia. Nel Collegio di Monza c’era inoltre la possibilità di imparare anche il francese, la musica e la danza. L’anno scolastico andava da novembre ad agosto; la giornata iniziava con le preghiere in camerata, un’ora di ripasso delle lezioni, la colazione servita dai camerieri, la Messa, cui seguiva la scuola del mattino; all’Angelus veniva servito il pranzo, e dopo una ricreazione in camerata, si svolgevano le ore di lezione pomeridiane, seguite dalla merenda, poi due ore di studio in camerata, quindi una “Lezione di vita che si fa da un collegiale”, seguita dal rosario; veniva poi l’ora di cena, la ricreazione in camerata, le preghiere e infine tutti a letto; in inverno “i camerieri portano il boccaletto (lo scaldaletto) ai convittori” (Ordine del 1759, Archivio comunale di Monza). Gli esami di fine anno, orali e scritti, comprendevano due componimenti in prosa e uno in poesia nelle lingue studiate. La ratio prevedeva inoltre degli incentivi particolari allo studio, come le provoche (richieste particolari individuali), le dignità (riconoscimenti di merito), i premi e le accademie (gare di composizione) pubbliche e private. Nel 1762 l’Accademia dell’Arcadia di Roma elesse il Collegio di Monza ‘Colonia di Arcadia’ con il titolo di Accademia Intrepidorum (‘accademia dei coraggiosi’). I migliori allievi venivano premiati con l’’emblema’, un dipinto-ricordo che conteneva un oggetto simbolico e un motto che esprimevano le qualità morali e intellettuali del premiato e che dava diritto al titolo di Principe dell’Accademia e al nome e cognome arcadici.
Ricevettero questo premio il futuro poeta milanese Carlo Porta, il letterato Gerolamo Tiraboschi, Pietro Verri, il pittore Giuseppe Bossi e nell’Ottocento il patriota Emilio Dandolo, che studiarono tutti nello Zucchi di Monza. I migliori allievi dell’istituto venivano invece nominati Principi del Collegio, ed avevano diritto a un ritratto ad olio che restava a loro gloria nella quadreria dell’Istituto. Nel Collegio di Monza nel 1872 c’erano 278 ritratti (Memoria di Innocente Gobio, 1872), dei quali l’anno seguente, alla chiusura del collegio, molti furono ritirati dalle famiglie e almeno 133 vennero trasferiti presso i Barnabiti di Lodi, dove oggi se ne conservano, in cattivo stato, deprivati di cornice e con le scritte ormai quasi illeggibili, solo 25, tra cui quello del ministro degli Asburgo Giuseppe Prina (1781), linciato a Milano alla fine del Settecento, di Carlo Caronni (1762), futuro fabbriciere del duomo di Monza e funzionario della Repubblica cisalpina, ed un Enrico Longoni di Seregno del 1891.